*** Ohr Story #5 *** 

Trip #5: OHR

La nuova società discografica Ohr aveva la sua sede principale a Berlino Ovest, nello stesso palazzo delle altre attività dei fratelli Meisel (»Hansa« e »Intro Verlag«), in Wittelsbacher Straße al civico 18, più una sede secondaria era ubicata nel villino di Rolf-Ulrich Kaiser a Colonia, in Bergisch Gladbacher Straße al civico 1027.
Kaiser si era da pochi mesi trasferito nella sua nuova residenza, più o meno nel periodo a ridosso della creazione della »kinder der geburtstagspresse« e dell’idea progenitrice della Ohr. Precedentemente aveva vissuto in un appartamento decisamente meno elegante, in Frankenforster Straße a Bensberg, al civico 2.
Inizialmente venne messo a capo del settore grafico della Ohr Reinhard Hippen, che proprio in quel momento si era ritrovato disoccupato a causa della chiusura della rivista »Song«. Fu lo stesso Hippen l’ideatore del noto logo auricolare e dello slogan “Macht das Ohr auf!” (Apri le orecchie!). A ben vedere si trattava di un gioco di parole che, partendo dal “Macht das Tor auf!” (Apri il cancello!), slogan del tabloid »Bild« riferito all’allora invalicabile Porta di Brandeburgo, prendeva sottilmente in giro due simboli considerati nemici dai pensatori di sinistra: »Bild-Zeitung« ed il suo editore Axel Springer.
La quantità di persone che si dedicarono ben presto alle grafiche e alle produzioni artistiche della Ohr raggiunse una cifra di tutto rispetto, confermando la neonata etichetta come una delle prime grandi label musicali indipendenti di Germania. Kaiser era divenuto nottetempo l’uomo ombra ed il boss di questa impresa, colui che ammetteva con un certo orgoglio, vista l’ancora giovane età, d’aver raggiunto un inaspettato successo economico e reputazionale.
Rimanendo fedele a quelli che erano stati i suoi ideali politici, ma avendo tuttavia compreso perfettamente il motivo per cui la rivoluzione culturale del decennio precedente avesse fallito, Kaiser cercò di utilizzare il mezzo musicale, utopicamente e in totale buona fede, per attaccare l’apparato di repressione statale rappresentato in questo caso proprio dall’industria discografica che, secondo il Kaiser-pensiero, si sarebbe prima o poi riusciti a “sconfiggere”, parallelamente a quella che sarebbe stata “l’emancipazione della classe operaia, degli studenti e dell’individuo stritolato dal capitale”.
Quella che per Kaiser era iniziata come una rivoluzione culturale, divenne a quel punto una pura rivoluzione sonora, sfruttando l’ignoranza dei capitalisti dell’intrattenimento. Non c’è dunque da stupirsi se quest’uomo ruppe ogni ponte con la società quando, qualche anno dopo, quelle aspirazioni vennero a fallire tristemente.





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