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Nel mese di giugno del 1970 arrivarono nei negozi di dischi tedeschi i primi cinque long playing ed
i primi quattro singoli a 45 giri prodotti dalla nuova etichetta Ohr, con distribuzione Metronome
Records GmbH. Peter Meisel pensava che l’avventura si sarebbe conclusa così, non avendo fatto i
conti con l’intraprendenza di Rolf-Ulrich Kaiser.
Kaiser aveva convinto il musicista e produttore specializzato in musica di protesta Julius
Schittenhelm a portare in studio d’incisione altre nuove proposte, contattando velocemente, per
invitarli ad unirsi alla sua squadra, l’artista grafica berlinese Gil (Christa) Funccius, lo scrittore
Bernhard Höke, il geniale produttore e tecnico del suono Konrad (Conny) Plank e di lì a poco un
altro importante nome dell’industria discografica tedesca: Dieter Dierks. Quest’ultimo aveva da
poco imbastito in totale autonomia uno studio di registrazione nei pressi di Colonia.
Inizialmente il “sodalizio Kaiser-Dierks” fu tra i più felici. Secondo lo stesso Kaiser, Dierks non
avrebbe dovuto ricoprire il ruolo del semplice tecnico del suono – quello che in sala d’incisione si
assicura che durante la presa (take) di una band o di un singolo artista, tutto fili liscio –, ma un vero
e proprio creativo, cioè un invisibile musicista aggiunto, preposto alla creazione di un preciso
suono, chiesto o consigliato da chiunque si trovasse lì per incidere la propria musica.
Fu così che Kaiser, attorniato da una sempre più vasta schiera di collaboratori, produttori, fotografi,
designer e musicisti, divenne un vero e proprio direttore artistico e le produzioni della Ohr
continuarono con svariati album ed alcuni singoli dai suoni sempre più innovativi; il tutto arricchito
da copertine suntuose, sino ad essere una delle prime etichette al mondo a missare i master in
quadrifonia, uno standard audio alternativo al principale sistema stereofonico e che visse un
effimero momento di gloria negli anni Settanta.
Per quanto concerne la questione relativa a questo moderno ritrovato nel campo della registrazione,
del missaggio e dell’ascolto della musica, l’archetipo di quello che oggi chiamiamo »Dolby
Surround«, tutte le attrezzature per quel tipo di produzioni vennero utilizzate da Dierks nel suo
studio, quasi in esclusiva per quelle che furono le produzioni volute da Kaiser. Mentre la
maggioranza della gente e in particolare dei giovani si dedicava all’ascolto della musica con
economici impianti Hi-Fi o addirittura con semplici sistemi monofonici, all’epoca in cui venivano
concepiti e creati quei dischi la qualità rimaneva ancora ad appannaggio di pochissimi ed
appassionati audiofili.
Kaiser aveva compreso appieno dalla sua, a seconda di quale fosse il mezzo d’ascolto finale, come
quella nuova e strana musica potesse davvero cambiare le regole del gioco discografico. Parecchi
dei musicisti che lavorarono nello »Studio Dierks« a Stommeln, ebbero così modo di utilizzare
delle innovative cuffie quadrifoniche e un sistema di diffusione a quattro canali ideato dalla
giapponese JVC, in maniera tale da connettersi sensorialmente gli uni agli altri, per una spazialità
molto più completa ed intima.
La gestione consapevole della spazialità del suono all’interno dello studio, fu soltanto una delle
chiavi con le quali Kaiser e Dierks procedettero sistematicamente ad allargare il concetto di
produzione musicale. La finezza tecnica adoperata in studio avrebbe dovuto fornire ad ogni band la
particolarità sonora che l’avrebbe contraddistinta. Ogni gruppo di quel rock avanguardista si
sarebbe dovuto quindi riconoscere dal proprio personale sound, utilizzando anche equipaggiamenti
elettronici che andassero a snaturare i suoni acustici ripresi dai pick-up e dai microfoni, o che
producessero essi stessi dei suoni artificiali. Qui entrò in ballo la macchina elettronica (il
sintetizzatore), quell’insieme di manopole e circuiti che dovevano permettere ai musicisti pop di
indurre nell’ascoltatore determinati stati d’animo, per il tramite di quegli stessi suoni sintetici che i
“compositori seri” della classica contemporanea (tipo Karlheinz Stockhausen) utilizzavano per
perdersi in infinite galassie di puro gioco d’oscillazioni.
La creazione del suono artificiale divenne dunque una consapevole scelta di altezze e cadenze,
opportunamente miscelate e trattate, per creare strani ambienti (urbani, pastorali o spaziali) tanto da
indurre nell’ascoltatore una ben precisa fascinazione. Fin qui era tutta vecchia storia, poiché già
durante la fine degli anni Sessanta erano state molte le formazioni ed i musicisti che avevano
camminato lungo una strada abbastanza similare, artisti prevalentemente americani ed inglesi che
per primi abbinarono il suono elettronico al pop-rock, al blues e persino ad un certo tipo di jazz.
Tuttavia nel caso del rock elettronico tedesco si assistette per la prima volta ad un deliberato
accostamento giocoso al mezzo elettronico, distante dai concetti di arrangiamento, nozione o
registrazione.
Fu lo studio d’incisione, nel caso specifico dei tedeschi, a divenire una sorta di creativa-abitazione
dove potersi isolare, dove poter sperimentare e raggiungere poco per volta risultati artistici in alcuni
casi realmente nuovi ed inediti.
In senso lato poi è sempre stato ben chiaro a chiunque che tutta la musica può stimolare determinati
stati d’animo. Fino a quel punto però la faccenda si razionalizzava con l’attribuzione di cause
formali, ad esempio il ritmo, l’armonia e la melodia. Con la musica elettronica di consumo questi
riferimenti formali caddero definitivamente, questo perché gli stati d’animo volutamente prodotti
non si trovavano più legati a quello che si potrebbe definire un orecchio ritmico (una batteria),
armonico (un basso e una chitarra) o melodico (una voce). Secondo Kaiser questi nuovi stati
d’animo dovevano, ove fosse possibile, venir offerti all’ascoltatore attraverso uno spazio acustico
nuovo, che contenesse il fluire, il riposare e il pulsare dello spazio stesso, all’interno del quale i
suoni astratti del rock elettronico venissero lasciati agire in totale libertà.
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