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Sebbene Rolf-Ulrich Kaiser fosse palesemente d’estrema sinistra, non nascose mai durante la sua
avventura di discografico la volontà di fare soldi con la musica: per poter finanziare sempre nuovi e
ambiziosi progetti, ma anche per potersi permettere una grossa automobile Volvo. Per certi versi
potremmo dire che egli fu convertito al business proprio da Peter Meisel, tanto che arrivò a vantarsi
pubblicamente di guadagnare 7000 Marchi al mese. Vi è da riferire tuttavia che nella sua
quotidianità Kaiser era molto lontano da una vera e propria esistenza da ricco manager discografico.
Le sue motivazioni intellettuali rimanevano sempre, costantemente ed entusiasticamente legate
soprattutto alla musica rock d’avanguardia e alla sperimentazione, nondimeno mantenendo una
propria visione su ciò che si doveva pubblicare, rifiutando raramente anche le proposte più astruse
in termini sonori.
Un piccolo gruppo di musicisti tedeschi cominciò tuttavia a disapprovare il suo operato, come se far
quadrare i conti per una società discografica non fosse ugualmente importante quanto creare buona
musica. La questione era già stata affrontata nel settembre del 1971 quando la rete televisiva
»WDR« aveva ripreso e mandato in onda una tavola rotonda dal titolo »Pop & Company, l’altra
musica tra protesta e mercato«.
In quell’occasione Nikel Pallat, manager del gruppo Ton Steine Scherben, diede pubblicamente a
Kaiser del sottomesso all’alta finanza. Dalla sua Kaiser dichiarò che l’etichetta discografica che
dirigeva non avrebbe mai avuto nulla da consigliare a nessun artista su cosa fare o cosa non fare
(ovviamente una velata bugia) e che comunque la Ohr non la si poteva considerare un istituto di
beneficenza. Pallat mise fine alla discussione estraendo un’ascia che teneva sotto alla giacca e
cercando di sfasciare il tavolo dello studio televisivo. Il grottesco blitz di protesta fallì miseramente
a causa della solidità del bancone e così il teppista Pallat finì per rubare dei microfoni dallo studio
affermando fossero per i prigionieri politici minorenni.
Era chiaro che Nikel Pallat avesse pianificato la cosa solo per attirare l’attenzione dei media verso
la propria band, piano che gli riuscì perfettamente. Ad ogni modo, il momento storico e non da
ultimo il luogo, Berlino Ovest, avrebbero consigliato maggior prudenza con i messaggi relativi al
presunto e mai realmente provato successo commerciale dell’avventura Ohr.
Vi era poi un’altra questione disprezzata da parecchie band. Una metodica utilizzata da Kaiser, per
legare i vari musicisti all’etichetta, non consisteva in veri e propri contratti discografici come quelli
che le grosse case di produzione fonografica potevano facilmente elargire. Egli utilizzò un
espediente che non era una sua idea, ma un sistema collaudato da altre etichette indipendenti di tutto
il mondo. Per diversi gruppi della scuderia Ohr questo metodo divenne con il tempo un vero
problema.
Per comprendere questa dinamica si dovrà sapere che in quel periodo storico la maggior parte delle
band musicali erano costrette a indebitarsi per far fronte alle spese d’acquisto per l’attrezzatura
d’amplificazione e di missaggio da utilizzarsi durante i concerti. Non esistevano ancora delle
aziende specializzate nel noleggio delle attrezzature e dei tecnici da palco per i concerti. Kaiser
offriva a tutti i musicisti da lui scritturati l’utilizzo di un sistema audio d’amplificazione eccezionale
per l’epoca, più un anticipo di 1000 Marchi per ognuno che avesse accettato di firmare un contratto
discografico con lui.
Per il servizio offerto Kaiser richiedeva il 25% dei guadagni che la band o il singolo musicista
avrebbe incassato durante i concerti e i tour promozionali degli album. Non fu certo Kaiser ad
inventare questa tipologia di contratto, in un certo qual modo si può dire che al tempo funzionava
così. A quell’epoca non era per nulla semplice ottenere dal vivo un sold out e pertanto, quelle
formazioni che avevano siglato un contratto con la Ohr si ritrovarono improvvisamente e
profondamente indebitate con l’etichetta. Ciò significava che difficilmente sarebbero riuscite ad
abbandonare la scuderia di Kaiser, questo perché si sarebbero trovate nella condizione di restituire
del denaro che non possedevano.
La maggior parte delle formazioni non poteva permettersi di andarsene, nemmeno i Tangerine
Dream all’apice della loro fama, quando nel 1973 cominciarono ad essere corteggiati dalla neonata
»Virgin Records« di Richard Branson. Quando accadde questo, Edgar Froese avrebbe voluto
lasciare la Germania discografica, stracciare ogni accordo con la Ohr e firmare un succulento
contratto in Inghilterra. Fu così che Froese, durante alcune interviste, esternò tutta la sua
frustrazione e l’odio personale che nutriva nei confronti di Rolf-Ulrich Kaiser.
Anche Klaus Schulze ad un certo punto sarebbe divenuto sempre più motivato a cancellare ogni
debito contratto con quella che era stata la coraggiosa Ohr. Kaiser dalla sua era ben cosciente di
perdere due dei nomi più importanti e prima che altri artisti seguissero quell’esempio insistette con
Froese e Schulze per il rispetto dei patti a suo tempo intercorsi. Nell’autunno del 1973 i due
musicisti si sarebbero coalizzati per portare in tribunale la Ohr. Nel maggio dell’anno successivo il
solo Edgar Froese chiamò in tribunale direttamente Kaiser accusandolo di non aver versato in
maniera corretta le royalty al suo gruppo.
La causa si trascinò per tutti e tre i gradi di giudizio sino al 1978 quando la Corte Federale di
Giustizia diede ragione a Froese che da quel momento rientrò in possesso di tutti i diritti dei
Tangerine Dream relativi ai primi quattro album della band. Tuttavia, quando le vicende giudiziarie
terminarono, il front leader della band non venne rimborsato nemmeno d’un pfennig: nel 1978 Rolf-
Ulrich Kaiser era sparito come un fantasma, letteralmente nel nulla.
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